21 gennaio 2020

Testamento di un professore


Un vecchio, rinomato professore,
giunto alle soglie della dipartita,
dà uno sguardo accorato alla sua vita
perché si renda conto di ogni errore;
e con la mano stanca e l’occhio spento
si prepara a dettare il testamento.

All’ubriacone che sta al primo piano
lascio tutti i miei libri di latino,
potrà comprarsi una botte di vino
ed un vocabolario d’italiano.
Mentre si sbronza se lo mette a lato:
avrà l’aspetto più da letterato.


Ed i registri ricolmi di quattro,
frutto del mio giudizio competente,
su una cultura che non serve a niente,
li do all’esperto del gioco del lotto.
Saranno, forse, un poco trasandati:
almeno, però, i numeri li ho dati.

La fede che ho difeso io la lascio
al buon curato della cattedrale
che si addormenta nel confessionale
e dei peccati ne fa tutto un fascio.
Ma per coerenza in mezzo alla funzione
dice mea culpa e forse ci ha ragione.

Lascio i miei libri di filosofia
al salumiere all’angolo che ormai
ha ben capito dopo tanti guai
qual era, forse, la diritta via.
Senza, infatti, conoscere Rousseau,
lui s’è fatto la macchina e io no.

E me ne vado con la mente stanca,
povero, onesto e troppo credulone,
ma chi vuole da me qualche milione
non ha che presentarsi alla mia banca.
Se non mi sbaglio, adesso mi rammento,
ho euro venticinque all’un per cento.

Alunni cari vado in paradiso,
dove Pietro m’aspetta con le chiavi;
fate di tutto ma non siate bravi…
Ma se qualcuno ad esserlo è deciso,
se nutre nel suo cuore queste illusioni,
sia bravo… come i bravi del Manzoni.

                          Mimmo Mòllica ©

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